A vedere la tv e ad ascoltare la radio sembrerebbe che in questi ultimi anni l’Italiota abbia scoperto l’Hip Hop, che il pubblico cominci a capire un linguaggio universale ma che nel gretto provincialismo dello stivale non aveva ancora trovato il suo collocamento e che anche i discografici italiani, notoriamente conservatori, abbiano capito l’antifona…ma è realmente così? E’ questo che volevamo? E’ questo che vogliamo?
Facciamo un passo indietro. Queste, com’è ovvio, sono solo considerazioni personali, lungi dal voler rappresentare la verità assoluta…questa è la mia verità, quella che vale per me e me soltanto, al limite per chi condivide un certo modo di sentire e di vivere l’Hip Hop.
Quando tanti anni fa, una ventina, sono rimasto folgorato da questa cosa che poi scoprii chiamarsi Hip Hop -il mio primo approccio fu con la musica rap- decisi immediatamente che quel modo strano di parlare su una musica altrettanto atipica per delle orecchie abituate alla melodicità del panorama musicale nostrano faceva proprio per me, una musica fatta da non musicisti, nella quale conoscere gli spartiti non era necessario, come non lo era saper cantare…diavolo, pensai, più Punk del Punk! L’unica cose che necessitavano erano passione, voglia di imparare e migliorarsi ed avere qualcosa da trasmettere…insomma, del Rap mi colpì la possibilità di poter esprimere in maniera genuina ed in-mediata un concetto, un sentimento…quale stupore poi nello scoprire che questa musica che mi stava sequestrando il cuore (ed un numero ormai incalcolabile di ore) non fosse altro che un tassello di qualcosa di più grande ed ancora più strano che parlava la lingua dei vagoni dipinti e delle schiene grattugiate a terra.
L’Hip Hop è cultura dell’espressione immediata e “selvaggia” dell’individuo, una specie di rito tribale urbano dov’è la necessità, l’urgenza del gesto e non la sua codificazione ad essere importante.
Se comunque la scena di riferimento, quella USA, in parte ha traslato tutti i vizi della società americana all’interno soprattutto della musica (quindi l’ostentazione della ricchezza come valore in sé, l’affermazione di un ego debole che acquista valore solo in base al rapporto di dominio/ superiorità con gli altri, ecc…) il grande pregio dell’Hip Hop, quello che lo ha fatto diventare un fenomeno internazionale, è la possibilità di espressione diretta che offre, si tratti di farlo attraverso la musica, l’epressione artistica visiva, ovvero il Writing, o quella fisica, corporea, “corporale” ovvero il Breaking.
La doppia H si avvicina alla sinestesia più di ogni concettualizzazione. L’Hip Hop ha dunque dato a tanti la possibilità di far arrivare il proprio messaggio, qualunque esso fosse, a quante più persone possibile, e di farlo divertendosi. Gruppi come i Public Enemy, ad esempio, hanno avuto, nella società americana, un valore intrinseco che andava ben oltre il semplice uso ludico cui solitamente la musica è relegata, avendo avuto l’incontestabile pregio di portare all’attenzione di tanti le problematiche dei ghetti americani senza mediazione né di immagine né di linguaggio. L’Hip Hop, agli esordi, ha significato molte cose per tanti, ma il denominatore comune era quello di aver trovato un medium espressivo dirompente e dalle potenzialità ancora tutte da decifrare/scoprire, un medium non integrato nel sistema mediatico istituzionale e pertanto ancora libero di trasmettere in maniera propria ed inedita i propri concetti.
Da un certo punto di vista l’Hip Hop, nella sua parte musicale, pur con tutte le differenze può, forse provocatoriamente, essere considerato il più diretto discendente della tradizione folk cantautorale di Woodie Guthrie, che con tre accordi ed una voce non proprio da grandi teatri portò il messaggio dei paria della grande depressione in giro per il continente americano. Guthrie era considerato un pericolo dalle amministrazioni del suo paese, non è mai buona cosa che qualcuno si metta a tir fuori la polvere da sotto i tappeti in maniera incontrollabile.
Con Rap è stato lo stesso, basti pensare che l’FBI ha tenuto per anni d’occhio Chuck D e soci, ma cambiano i tempi e cambiano i metodi di disinnesco delle criticità e se per un certo periodo la criminalizzazione della musica Rap ed a seguire di tutta la cultura Hip Hop è stata l’arma che le amministrazioni hanno provato ad utilizzare, ad un certo punto si è capito che per annichilire un fenomeno di coscienza di classe (in certi casi la terminologia marxista aiuta a capirsi) potenzialmente deflagrante -le rivolte di Los Angeles non sono state solo la corsa al saccheggio che hanno raccontato i media di regime- bastava semplicemente svuotare di significato e di contenuti il Rap trasformandolo in fenomeno di massa codificato e riconoscibile, ed ecco che le tv e le radio cominciano sempre di più ad occuparsi di Hip Hop decifrando, banalizzandoli, i significanti costitutivi della cultura, quindi il B Boy viene identificato con il ragazzo, generalmente di colore, vestito con pantaloni larghi e cappellino, con un certo tipo di linguaggio, solitamente scurrile, ecc…
Il concetto di crescita attraverso il confronto e l’affermazione di sé banalizzati in pura competitività (certo componente della cultura ma non dogma assoluto), più facilmente riconoscibile/comprensibile anche dal giovincello della classe media occidentale; La Volontà di riscatto autoaffermazione violentati in sterile volontà di accumulo/ostentazione di capitali; Il riconoscersi in una condizione sociale/esistenziale ben precisa e la necessità dell’originalità sbeffeggiati e ridotti ad un semplice fenomeno modaiolo fatto di pantaloni e felpe.
L’attacco ha portato i suoi frutti, e soprattutto negli USA l’ HH ha subito una banalizzazione contenutistica ed un involuzione qualitativa impressionante.
Intendiamoci, non sto ripetendo la solita filastrocca che recita “il successo commerciale rovina la musica perché necessita di compromessi”, no. Sto dicendo che in parte si è permesso all’Hip Hop di fare successo a patto che se ne uccidesse lo spirito e se ne obliasse l’origine; questo non è “compromesso” questo e metodico -mi si passi il termine forte- genocidio culturale. Ovviamente sotto terra il fiume scorre sempre (magari con più fatica) ed ogni tanto nelle piaghe non sorvegliate del sistema riesce ad emergere qualcosa di interessante, come furono ad esempio qualche tempo fa Common o MOS Def, i Reflection Eternal, Talib Kweli ecc…ma questo diventa sempre più difficile perché ci si ricorda sempre meno di quello che è stato abbagliati delle luci della ribalta del fenomeno circense che è diventato oggi il Rap (non a caso chiamato Hip Hop confondendo volutamente i termini, cosa che ha cancellato quasi totalmente nelle nuove generazioni l’idea che la doppia H sia una cultura fondata su 4 elementi e non soltanto un modo di fare musica).
In questo senso il ruolo dell’Underground è quello di tenere vivo il fuoco e non soltanto quello di palestra per le future rap stars o rifugio per chi ormai ha perso il treno.
E oggi, nel 2012 in Italia? Dopo questo lunga introduzione veniamo a noi. Non voglio certo mettermi a fare l’esegesi della cultura HH nello stivale, sia mai, né voglio star qui ad analizzare il perché ed il per come la scena musicale del Rap legata all’Hip Hop non sia riuscita a ricavarsi una sua nicchia nel mercato della musica italiana.
Innanzi tutto premetto una cosa. La musica, come ogni altro tipo di esercizio artistico nasce da un’esigenza individuale d’espressione, e come tale risponde innanzi tutto ai criteri che ognuno si impone; da ciò si evince che da parte mia la prima urgenza è quella di esprimermi attraverso questo medium rispettandolo e rispettandomi il più possibile. Anche in questo ambito, come in ogni altro della mia esistenza ho deciso di seguire cuore ed istinto senza compromessi, senza aspettarmi niente ma spinto solamente dalla necessità di stare bene con me stesso. Mantenere vero tutto ciò che faccio è il mio unico imperativo, e sono pronto alla strenua difesa delle cose nelle quali mi riconosco.
La situazione attuale dell’Hip Hop italiano è da un lato deprimente, da un altro, per lo meno riguardo la situazione che conosco, appagante.
Il mainstream italiota è sempre stato conservatore e poco aperto alle novità, così come l’italiano è sempre stato pronto ed attento a scovare la scorciatoia più veloce per raggiungere i propri obbiettivi.
Anche in Italia, come nel resto del mondo, l’Hip Hop è passato da un primo periodo nel quale le capacità comunicative “rivoluzionarie” di questa cultura sono state utilizzate -più o meno bene- per trasmettere concetti non mediatizzati come ad esempio i disagi in questo caso non delle periferie della metropoli ma i ghetti sociali e mentali, le frustrazioni e le speranze delle generazioni post reganizzazione/Tatcherizzazione globale, ad una fase nella quale ogni portato culturale di rottura -non solo in ambito musicale- doveva essere “normalizzato” e se a livello di movimenti sociali definiti “radicali” i mezzi sono più o meno sempre gli stessi, ribaltamento di senso, diffamazione e repressione, negli ambiti culturali ed artistici meno coinvolti in prima istanza nei conati di rinnovamento la tattica è più subdola e più gravida di risultati. Lo svuotamento di senso del gesto attraverso la sua ritualizzazione si palesa in ambito comunicativo nella mediatizzazione esasperata e manovrata che estrapola dai veicoli espressivi solo quegli elementi di superficie riproducibili e utilizzabili per un inquadramento “estetico” occultando i significati profondi del gesto. Il medium trasla da significante a significato inaridendo la propria essenza. Il Rapper non è più colui che attraverso la musica trasmette un punto di vista, una voultaunschaung, ma colui che indossa un determinato abbigliamento o utilizza un certo tipo di gergalità; va da se che con il passare del tempo le nuove generazioni che si avvicinano ad un certo tipo di musica si identifichino in un’immagine senza sostanza, spesso slegata dal resto delle discipline che dovrebbero costituire l’ossatura culturale di coloro che dicono di “fare Hip Hop”. Se un tempo la difficoltà di trovare canali comunicativi adeguati e ricettivi ha relegato per anni questa questa cultura nell’ambito dei super appassionati (e mediamente molto competenti), ha anche fatto si che si creasse una base solida di conoscenze e almeno due generazioni, forse tre, di persone che si sono sentite quasi investite della responsabilità di tutelare -spessissimo anche in maniera esasperata e sbagliata- i valori originari dell’Hip Hop, oggi la mediatizzazione massiccia del Rap, come detto ormai identificato con l’Hip Hop, ha portato si a crescere il numero degli appassionati anzi, per usare un termine più calzante per questa situazione, dei fruitori, ma abbassando a livello quasi nullo la coscienza della doppia H come cultura e come veicolo formidabile d’espressione venendo esso presentato solo come un prodotto come tanti della società a stelle e strisce e quindi obliando le potenzialità reali di questa cultura.
Se l’oscurità impedisce di vedere, potere d’oblio altrettanto forte lo ha la luce estremamente abbagliante.
Ma, come ebbe a sintetizzare magnificamente uno dei veri poeti di strada italiani, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.
Se il mainstream presenta un’immagine falsata dell’Hip Hop a livello di base come si direbbe in politica, o di underground come siamo abituati a dire, la situazione, dopo anni di sostanziale affanno, le cose vanno decisamente meglio.
Non posso che portare ad esempio la scena Toscana che vivo da sempre e che quindi conosco meglio. Nella terra di Dante dopo anni di mugugni vicendevoli ed eccessi di personalismo sterile, da qualche tempo si è ricreato un tessuto di competenze che ha ripreso linfa ed energie, diciamoci il vero, grazie sia alla vecchia scuola che comunque non ha mai smesso di portare amore (e amore vuol dire anche combattere aspramente, niente storie da hippy..) e rispetto per la doppia H, ma soprattutto per l’impegno e la passione delle nuove leve che in un periodo di confusione totale sono riuscite ed hanno avuto la voglia di capire cosa fosse questa cultura.
Certo anche in Toscana qualche danno collaterale esiste, ma mediamente il knowledge è decisamente alto e questo non può che far piacere. Non abbiamo rap stars, ma abbiamo decine di mc’s molto capaci, e con loro producers, Writers e Breakers che portano avanti l’amore e la passione per questa cosa chiamata Hip Hop. Non è sempre stato rose e fiori, ma negli ultimi anni le tensioni, i personalismi, gli atteggiamenti stupidi dettati sia dalla giovane età che da un mal celato scimmiottamento degli atteggiamenti d’oltre oceano sono sfumate soppiantate da una voglia di portare avanti la propria passione in primis, ognuno con le proprie modalità e con i propri tempi. Ci sono realtà più socialmente sensibili come l’Esercito Ribelle o Filtro Foltri, Cono d’Ombra; gruppi che portano avanti il suono classico come Shafy Click o Classicskilz, Danomay, e poi gli inossidabili Divieto, Granu per il quale non ci sono parole, Long Bridge All Starz con Willie DBZ, un icona Toscana e non solo, AcidOne e tanti altri che non posso citare per questioni di spazio. E’ innegabile che questa situazione, gravida di tante belle speranze è si nata dalla volontà di tutti di pensare solo alle 4 discipline lasciando perdere un contorno poco stimolante, ma ha avuto imput decisivo anche da un’esperienza a mio vedere importantissima pur con qualche difetto, che è stato il progetto Local Heroes che ha avvicinato tante realtà fra loro e riacceso qualche fuoco. Non che non ci siano problemi, ma questi sono soprattutto dati dalla voglia di fare che spesso porta a non ponderare in maniera esatta le situazioni e le tempistiche, c’è ancora da lavorare sull’organizzazione degli eventi, ad esempio, ma giornate come quella di Pescia di qualche tempo fa lasciano in bocca più di qualche dolce nota. Che dire, avanti tutta e…che parli la musica!